Anno C – III domenica dopo l’Epifania

Nm 13,1-2.17-27 Sal 104 (105) 2Cor 9,7-14 Mt 15,32-38

Non sarà scandaloso identificarci con la folla di questo Vangelo.
Il racconto – in verità – inizia proprio con la descrizione di questa folla:

Lo seguiva molta folla recando con sé zoppi, storpi, ciechi, sordi e molti altri malati; li deposero ai suoi piedi, ed egli li guarì. E la folla era piena di stupore nel vedere i muti che parlavano, gli storpi raddrizzati, gli zoppi che camminavano e i ciechi che vedevano

Poi inizia il racconto della moltiplicazione che abbiamo ascoltato.
Dunque, questa folla segue Gesù da tre giorni e non ha nulla da mangiare. Attira la compassione di Gesù.
Lo sguardo di Gesù conosce la nostra fatica, la nostra fame, i rischi del perderci. Conosce i ritmi faticosi della nostra vita, l’agenda piena di impegni. Conosce la fatica del nostro venire qui, del radunarci per ascoltare il vangelo; la fatica che facciamo per trovare il tempo per dire una preghiera quando arriviamo a sera, vincendo la nostra stanchezza.
E tuttavia, questa folla non ha fatto domande, non si è lamentata di questo con il Signore. Il Signore non moltiplica i pani per soddisfare una loro lamentela, per assecondare il brontolio di chi minaccia di tornarsene a casa se qui non gli viene dato non solo il cibo, ma anche tutto un di più che oggi è richiesto come un diritto: attenzioni, sorrisi, premure. Qui la folla non ha diritti da far valere. Ricordiamocelo quando ci viene in mente di lamentarci di tutto, dei preti, o del fatto che non ci sentiamo accolti come vorremmo. Ricordiamoci di questa folla o di quella donna che in india rischia la vita, o rischia di essere considerata una di cattivi costumi, perché porta il suo bambino in una chisa a dire una preghiera.
Nessuno di noi può vantare diritti di fronte al Signore. Neanche il pane del Signore è in vendita e non può cedere a nessun ricatto di mercato. Ne andrebbe del pane stesso: non sarebbe più il pane gratuito moltiplicato per molti.
Il cammino cristiano non è sul mercato dei prodotti, non è sulla piazza moderna degli scambi, tra i diritti acquisiti di una società. A volte, anche per il popolo, non solo per i discepoli, è fatto di tre giorni di cammino.
Non date retta a quelli che vogliono mettere accanto alle tante promozioni delle offerte del mercato anche quella del cristianesimo, promettendo felicità a costo zero. Fossero anche dei preti, non credetegli. Non è la felicità cristiana quella che hanno in mente questi.
Il Signore non lo ha fatto: non ha incitato la folla prima di seguirlo promettendo che dopo avrebbe dato il pane o guarito i malati. Non facciamo neanche noi. Usciamo dalla logica del mercato perché in esso le moltiplicazioni o sono atti magici oppure delle truffe per vendere prodotti che non vorrebbe nessuno.
Stupiti solo dalla parola e dai gesti del Signore, i giorni del cammino sono anche il segno per te che sei capace di amare qualche cosa, sei capace di credere in qualche cosa. Oggi solo il cristianesimo ci tratta da adulti, quando non ci offre finte soddisfaizioni. Giusto l’istante per aver placoto tutti quei desideri indotti dalle pubblicità di questa grande società.
Alla fine, se seguiamo il Signore, lui – che conosce la nostra vera fame – non tarderà ad avere compassione.
E noi godremo della consolazione che viene dal Signore – che non ha prezzo e non si baratta con nulla – perché viene dal Signore. Sono i pani che moltiplica, quando il nostro pane diventa pietra.
Uno scrittore francese Morice Bellet chiama questa consolazione la “divina tenerezza”.
E scrive

La divina tenerezza è sobria e discreta. Non disserta su sé stessa. Non prende le idee per azioni. Non si perde in sublimità. Si trasmette da corpo a corpo, attraverso lo sguardo, la mano, la semplice presenza, l’ascolto benevolo e gioioso. S’allieta del prossimo, senza esigere nulla da esso. Scambia senza cercare profitto. Dona senza aspettare alcun riscontro. E’ l’umanità ingenua e semplice. Può fare a meno di tutto, persino delle parole. Permette all’uomo di sopportare se stesso nell’attraversata talora terribile della vita.