Giovedì Santo – Messa in Caena Domini

Fa impressione leggere nel vangelo questo contrasto: è il momento della massima intimità con il Signore, è il momento decisivo, il momento “lungamente atteso” e, al tempo stesso, esso diventa il tempo del massimo tradimento, della fuga, del sonno e del rinnegamento.
Così siamo noi: ci ritroviamo così spesso vicini al Signore, ogni domenica andiamo a Messa e ormai abbiamo una certa relazione con lui, ma poi anche ci confondiamo, ci distraiamo, lo rinneghiamo… In questo senso, questa pagina ci è davvero vicina e così possiamo forse comprendere l’invito che Gesù rivolge: “fare questo in memoria di me”, ovvero ritornare continuamente alla sua memoria. Se vogliamo rimanere attaccati alla verità della vita dobbiamo tornare a questi gesti.
Anzitutto il nostro scappare non è raccontato come il peccato di un mancato precetto, ma come il tradimento di una persona, il controsenso di una storia. Gesù stesso lo permette e dice quasi una bugia per proteggere i suoi (“questo non c’entrano”). Ma quello che fanno appare come tradimento di un incontro, di una amicizia, di una storia durata tre anni e non è il senso di colpa di una legge infranta. Dobbiamo ricordarcelo: il nostro peccato è fuggire la verità di una amicizia, la distrazione nella verità di una storia e dei suoi incontri, la fuga da una persona che abbiamo amato e non il senso di colpa per precetti mancati o cose sporche.

Di fronte a questo, Gesù ci chiede di tornare alla memoria del suo gesto. Lo fa lui per noi, lo compie anche per Giuda, e lo fa senza chiederci nulla in cambio, pur conoscendo cosa accadrà dopo.
Ma cosa svela questo gesto per noi? Esprime tutta la verità della vita che Gesù compie nell‘atto della assunzione e della riconsegna di sé. Vediamo questi due movimenti.
L’atto dell’assunzione: “prese il pane e rese grazie”. Al Getzemani dirà: “non come voglio io ma come vuoi tu”. Lo stesso dirà anche Paolo: “ho dato a voi quello che a mia volta ho ricevuto“. Si diventa uomini solo con un atto della libertà che fa “mia” la vita che mi è data. Un libera scelta che rende “propria” la vita perché assunta responsabilmente anche nel suo destino imprevedibile. Significa, per esempio, fare nostra la relazione con Dio che i genitori ci hanno trasmesso, fare nostro il Vangelo custodendo quella pagina alla quale ci siamo legati, fare nostro il racconto che altri hanno fatto di Lui, fare nostro anche il lavoro che a volte non è quello che vorremmo, fare nostre le circostanze che non ci scegliamo… Noi uomini abbiamo questa capacità della libertà di “assumere responsabilmente”.
E il secondo gesto –forse quello solitamente più sottolineato ma che esiste in relazione al primo– è quello di riconsegnare. Come abbiamo detto mille volte: non si studia per sé stessi ma per riconsegnare un domani ad altri quello che saremo diventati. Nulla può essere trattenuto avidamente che non finisca per marcire. Così le amicizie per le quali dobbiamo imparare a non attaccarci in modo morboso e lamentarci che non ci corrispondono…

L’eucaristia non è dunque un oggetto sacro e scaramantico che si prende, quasi un portafortuna che ci toglie un senso di colpa o assolve un dovere verso il sacro. Non è neanche qualcosa da temere. E’ invece il manifestarsi per noi di questa verità della vita, dell’assumere e del riconsegnare la vita.
Conosco due rischi di fronte a questa verità. Il primo è quella dell’aver ridotto la Messa a un rito sacro, a una routine settimanale. Tutto si deve ripetere sempre identico senza più dire nulla. E’ in realtà la routine della nostra stessa vita diventata così: “la solita settimana si dice”, le “solite battute tra amici”… tutto ciò rivela la paura nell’assumere la nostra fragilità e povertà. La ripetizione di un identico contiene la certezza di un controllo, perché nella routine la nostra povertà è come se diventasse addomesticata, controllata. E’ come se non fosse necessario alcun rischio di un azzardo in più…
Il secondo rischio è quello di ridurre la Messa alla cena tra gli amici. Invece questo pane è spezzato “per voi e per tutti”. Dunque anche per quelli che non ci si è scelti, per quelli che non sopportiamo e persino per i nemici. E’ il rischio di vivere le amicizie come protezione dagli altri. Nel gruppo dove ci si sceglie, ci si rispecchia anche e ci si sentirà per forza un po’ belli… invece l’eucarestia, come la nostra vita, è fatta anche per quelli meno belli, per quelli che incontriamo ogni giorno, per gli anziani, per gli altri che sono davvero altro da noi.

Cristo compie questo gesto ogni domenica per noi, anche se noi siamo distratti, e sa benissimo che entrambe queste tentazioni (come molte altre) saranno dietro l’angolo l’ora dopo. Tuttavia, almeno ora, noi ci cibiamo di questo e siamo lieti che ci potremo sempre tornare. Siamo lieti di poter imparare sempre, ogni settimana, a guardarci negli occhi e a dirci amici così, nella memoria del gesto di lui, nella verità di una vita che abbiamo riconosciuto come la nostra salvezza.