IV domenica di Pasqua

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Il Vangelo di oggi è tra le pagine più belle della Bibbia. Fa parte del lungo testamento di Gesù ai suoi: l’ultimo discorso (tre capitoli del Vangelo di Giovanni) di Gesù durante l’ultima cena con i suoi discepoli. E’ difficile commentare questo discorso perché ci sono frasi che possiedono una chiarezza e una forza universali, si impiantano nella mente. Per esempio: “non c’è amore più grande di questo, dare la vita per i propri amici“. Credo sia impossibile commentare questa frase perché serve aver vissuto una esperienza vera di amicizia, serve aver conosciuto qualcuno che ha “dato la vita” (significa molto più di “morire”) per capirne la bellezza, la verità e la forza.

Mi limito a fare due osservazioni. La prima riguarda una frase centrale a questo discorso: “vi ho detto questo perché la vostra gioia sia piena“. Il senso di tutto questo discorso, il senso del nostro essere discepoli, è che “la nostra gioia sia piena”. Credo che qualsiasi uomo nato sulla terra, in qualsiasi contesto culturale, abbia le medesime fondamentali esigenze: un’esigenza di affetto, un’esigenza di giustizia, un’esigenza di felicità. Credo che durante la sua vita sperimenterà tante volta una gioia “non piena”. Il desiderio di una “gioia piena” che si contrappone all’esperienza di una “gioia” solo momentanea. Per questo si è soliti rassegnarsi a una gioia a metà. Passati i sedici anni si inizia a credere che la “gioia piena” sia solo un’utopia, una falsa speranza e invece di cercare un’altra strada, si riduce il proprio desiderio. Desiderare “una gioia piena” è la prima questione. E’ possibile da adulti, credere in una “gioia piena” nonostante le ferite della vita?

In secondo luogo, una “gioia piena” è la misura dell’amore. Anche questo non è banale. Noi pensiamo che l’amore sia autentico quanto è forte, grande, travolgente magari… Gesù dice che l’amore autentico è invece quello che permette una “gioia piena”. Cosa significa questo “piena”? Che non basta che io riconosca l’amore come un bene per me. L’amore – nelle sue molteplici forme, dell’affetto, dell’amicizia – si realizza quando il bene da cui si è attratti (un figlio, un uomo, una passione) viene riconosciuto come bene vero, ovvero che dà una gioia piena, e perciò viene scelto. È illusorio pensare, che ogni bene semplicemente perché sperimentato come tale sia comunque un bene vero. Un bene è vero quando entra nella mia vita esaltando e non distruggendo gli altri beni. Questo significa pieno.
In altri termini, se l’amore che ho per una ragazza fa si che non mi impegni più a scuola, che rovini le amicizie precedenti, che sia sempre scontroso con i genitori (oppure che tradisca la fiducia di un’altra persona)… difficilmente sarà un bene vero per me, sarà una gioia “piena”. Se l’accudire un figlio mi porta via così tante energie che distrugge tutto il resto, difficilmente quel modo di volergli bene sarà un bene vero, sarà una gioia piena. La misura di un amore vero è la pienezza della gioia.

Il secondo aspetto che mi colpisce è che ogni amore cristiano non è fine a sé stesso, ma porta sempre un “frutto”. In altre parole non è sterile, non è “due cuori e una capanna”, non si accontenta di “guardarsi negli occhi”, coinvolge altri, è aperta ad altri… Questa seconda cartina di tornasole mi sembra altrettanto attuale. Quante passioni, quanti amori, quante amicizie un po’ solo “da bar”, non generano nulla, finiscono in nulla e risultano alla fine solo sterili o fine a sé stessi. Invece, quante famiglie cristiane non hanno paura di fare figli, quante esperienze cristiane autentiche hanno lasciato un segno profondo e fecondo nelle persone o nelle comunità… Quante vite di persone , quante mamme hanno cresciuto figli, donando la propria vita senza riserve! Perché il non essere sterili, il fare figli, necessita che “doniamo la vita”…

Mi colpisce come questo “fare figli”, questo “non essere sterili” –anche non in senso fisico– sia rimasto ormai quasi solo dei cristiani. Vedere famiglie numerose, vedere ragazzi coinvolti, vedere una passione educativa, vedere chi si occupa anche dei figli non suoi o degli orfani (anche quelli spirituali)… è oggi una testimonianza cristiana della fiducia e della fede che anima queste persone. La loro gioia molte volte mi sembra una “gioia piena”, affascinante quanto l’amore fino alla fine di Gesù.