Lunedì della V Domenica dopo il Martirio del Precursore

Gc 5,7-11; Sal 129; Lc 20, 9-19

Titolerei così questa parabola: la vita come un possesso oppure la vita come una “eredità”. “Eredità” qui non è il programma televisivo (purtroppo la TV ci rovina le parole) ma è una parola bellissima e di antichissima origine (ha una radice indoeuropea) che ha a che fare con la parola “mano”, ovvero con “ciò che ti viene dato in mano”. E’ un’immagine del “dono”, ma più bella ancora della parola “dono” che è l’oggetto, perché è ingloba il gesto del donare, del mettere nelle mani di un altro.
Quello sul quale voglio fermarmi è dunque questo dilemma: la vita come possesso o la vita come eredità/dono?

Ripercorro la parabola in una traduzione migliore di quella che la liturgia ci propone. Tutto comincia con un “dono” che un uomo (non è scontato sia Dio) fa a dei contadini. Non è un affitto (la parola proprio non c’è nell’originale), ma un dono. “Un uomo piantò una vigna, la diede a dei contadini e se ne andò lontano per molto tempo…”
Così anche in Genesi, Dio non “presta” ad Adamo l’Eden e le sue piante con i frutti, ma “gliele da”. Dio non mi presta la vita, ma questa vita è proprio la mia.
Dal suo dono il Dio della vigna aspetta non un affitto, ma “dono” in cambio – si aspetta che noi entriamo nella logica del dono che è una logica di affetto reciproco, è un appello e un segno. Adamo ed Eva vollero prendere tutto, anche il frutto che serviva a ricordargli la parola del donatore.
Si può vivere negando il dono ricevuto, negando la sua logica, e prendendo o pretendendo tutto. (Si potrebbe qui citare la fiaba di Rodari dell’uomo che ruba il Colosseo).
Ma questa logica è “contro la vita” stessa. Perché? Per esempio, perché impedisce di scegliere. Scegliere è già dover rinunciare, è già morire. “Volere tutto”, “vivere sempre”, “non rinunciare mai” significa “non volere nulla”, “non vivere nulla”, non “possedere nulla”. Questa logica uccide dice la Bibbia. Si vive da figli di Adamo.

Quando i Signore della vigna manda poi il suo Figlio, i contadini lo riconoscono come l'”erede”. Allora si lasciano sopraffare dalla gelosia e decidono di impadronirsi dell’eredità. Sono come Caino, come i figli di Caino. Si sono dimenticati di essere anche loro “eredi”, anche loro fratelli di quel Figlio. E’ la logica della rabbia o gelosia contro Dio: lui che può tutto non poteva far sì che questi non morisse (dicono alcuni Giudei dopo la morte di Lazzaro). Ancora: è una logica che porta alla morte, perché ci riconosce in balia di un caso o di una fortuna sempre arbitrari che ci trasforma in nemici invece che fratelli, in antagonisti invece che in uomini. Un esempio: …

Allora? C’è qui un particolare bellissimo. Allora Gesù “fissa lo sguardo” (“egli fissò lo sguardo su di loro”). E’ una espressione rara nel Vangelo. Gesù aveva fissato lo sguardo sul giovane ricco prima di chiedergli di lasciare tutto. Gesù fissa lo sguardo prima di chiamare una persona, prima di farti fare un salto che non potresti mai fare se non ti senti guardato negli occhi così…
E dopo aver fissato lo sguardo dice una cosa bellissima: la pietra scartata dai costruttori è diventata pietra angolare. Parla di sé. Bisogna rimettersi nella logica della vita che è dono — che non è successo o insuccesso — perché ciò che sembra “buttato via”, “scartato”, “morto” in qualche modo venga ritrovato o consolato.

Scrive Bohoeffer
“Quando si è rinunciato del tutto a fare qualche cosa di sé stessi (un santo, un convertito, un uomo di chiesa, un giusto, un ingiusto, un malato un sano…) ed è questo che io chiamo mondanità (nella pienezza degli impegni, dei problemi dei successi e insuccessi), allora, ci si getta interamente nelle braccia di Dio, allora si veglia con Cristo nel Geztemani. Allora questa è fede e questa è metanoia (conversione). E così diventiamo uomini, cristiani.” E citando Ger 45. “Come ci si potrebbe insuperbire dei successi e avvilire degli insuccessi, quando nella via di questo mondo si è compartecipi del dolore di Dio?”

La vita come dono o come inarrivabile possesso?