Pentecoste

At 2,1-11; Sal 103; 1Cor 12,1-11; Gv 14, 15-20

Gesù promette ai suoi la presenza di uno Spirto della verità che il mondo non può conoscere. Vorrei dire brevemente quando e come nella mia vita ho percepito questa presenza.
Ci sono situazioni dove capiamo che gli altri sono importanti e che non possiamo farcela da soli. Cerchiamo conforto in un amico, nella moglie o marito o nei figli… Senza questi “altri” la vita può davvero diventare grigia o persa. Tant’è che spesso le situazioni più difficili sono proprio quelle che riguardano il rapporto che abbiamo con questi altri, i nostri affetti verso di loro.

Tuttavia, ci sono dei momenti dove capiamo che tutti questi “altri” (amici, marito, moglie, figli, parenti…) non sono sufficienti, non bastano, non possono capire quello che proviamo, non sentono quello che sentiamo noi. Non risolvono ciò che siamo e non cancellano totalmente la nostra solitudine, la nostra inquietudine, il nostro stare con noi stessi, i nostri dubbi o insuccessi… Possiamo distrarci, possiamo cercare compensazioni, possiamo buttarci sul lavoro… ma per tutti c’è sempre un luogo di assoluta solitudine con noi stessi, dove siamo noi a dover rispondere, a sentire l’inquietudine che siamo… Anche dopo le esperienze più forti di unione rimaniamo alla fine quello che siamo.

E’ uno spazio che ogni uomo che sia un uomo ha sperimentato almeno una volta: quando è sera, quando corre da solo al parco, quando va al lavoro macchina o quando è qui in Chiesa nel silenzio…
E’ in questo spazio di solitudine che si percepisce la verità, cosa cerchiamo, cosa vogliamo da noi stessi, cosa scegliamo, cosa reputiamo giusto, su cosa ci appoggiamo… Io dico: ogni uomo dentro la sua inquietudine riesce a essere o meno onesto con sé stesso. E’ in questo spazio che io ho sperimentato uno “Spirito della verità”, l’urgenza di una guida, di qualcuno da seguire, di un maestro interiore.

Gesù dice: il mondo non ce l’ha perché non lo vede e non lo conosce. In effetti, abitare questa solitudine non è facile e bisogna volerlo. E’ più facile distrarsi, pensare ad altro, pensare alle cose da fare… Semplicemente “stare” davanti al Crocifisso non è facile, uno vorrebbe alzarsi, vorrebbe scappare.
In questo spazio, invece, Paolo dice: lo spirito ti fa dire “Gesù è Signore”, ti fa tenere ciò che vale, ti fa arrivare alla verità, a ciò che è importante. Ti fa percepire che sei solo ma non sei orfano. Abiti quella solitudine se conosci il Padre, se sai parlare al Signore con la famigliarità di un figlio. E’ in questo spazio che il Vangelo diventa la roccia sulla quale costruire la casa. E’ qui che si costruisce una famigliarità con sé stessi e con Dio. Noi non abbiamo buttato il Vangelo, ma diciamo: “Gesù è il Signore” e lo diciamo non con le labbra ma nella profondità di quello che crediamo e dei nostri affetti.

E’ impressionante che questa percezione, questo agire dello Spirito, sia sempre associato all’unità delle persone. Le persone si sentono unite, ognuno con il suo carisma, per questa ricerca comune, per questo non aver abbandonato il Vangelo. Non sono unite perché hanno interessi in comune o perché hanno qualche vantaggio personale dal loro stare insieme. E’ importante di questi tempi dove ognuno si sente tanto “impegnato a fare le sue cose” e fonda il proprio senso del gruppo molto spesso sul “pettegolezzo” degli altri. Penso che se fossimo meno distratti, meno presi da mille cose, più in ricerca della verità del Vangelo, più onestamente capaci di rimanere da soli davanti al Signore, più sentiremmo che lo Spirito esiste e così anche al tempo stesso la nostra unità di cristiani.