VI Domenica dopo il martirio

Letture

LETTURA Is 45, 20-24a
Lettura del profeta Isaia

Così dice il Signore Dio: «Radunatevi e venite, avvicinatevi tutti insieme, superstiti delle nazioni! Non comprendono quelli che portano un loro idolo di legno e pregano un dio che non può salvare. Raccontate, presentate le prove, consigliatevi pure insieme! Chi ha fatto sentire ciò da molto tempo e chi l’ha raccontato fin da allora? Non sono forse io, il Signore? Fuori di me non c’è altro dio; un dio giusto e salvatore non c’è all’infuori di me. Volgetevi a me e sarete salvi, voi tutti confini della terra, perché io sono Dio, non ce n’è altri. Lo giuro su me stesso, dalla mia bocca esce la giustizia, una parola che non torna indietro: davanti a me si piegherà ogni ginocchio, per me giurerà ogni lingua. Si dirà: “Solo nel Signore si trovano giustizia e potenza!”».

SALMO Sal 64 (65)

Mostraci, Signore, la tua misericordia.

Per te il silenzio è lode, o Dio, in Sion,
a te si sciolgono i voti.
A te, che ascolti la preghiera,
viene ogni mortale. R

Pesano su di noi le nostre colpe,
ma tu perdoni i nostri delitti.
Beato chi hai scelto perché ti stia vicino:
abiterà nei tuoi atri. R

Ci sazieremo dei beni della tua casa,
delle cose sacre del tuo tempio.
Con i prodigi della tua giustizia,
tu ci rispondi, o Dio, nostra salvezza. R

EPISTOLA Ef 2, 5c-13
Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini

Fratelli, per grazia siete salvati. Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù. Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo. Perciò ricordatevi che un tempo voi, pagani nella carne, chiamati non circoncisi da quelli che si dicono circoncisi perché resi tali nella carne per mano d’uomo, ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d’Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio nel mondo. Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo.

VANGELO Mt 20, 1-16
✠ Lettura del Vangelo secondo Matteo

In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”. Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e da’ loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».

Il vangelo ascoltato contiene un grande insegnamento morale che ritengo molto attuale al giorno d’oggi: il tema dell’invidia (“forse sei invidioso perché io sono buono?”).

È facile giudicare ciò che abbiamo confrontandolo con quello che hanno gli altri più che guardando ciò che realmente è. Ho un buon lavoro dove guadagno duemila euro al mese? Potrei essere contento? Forse sì se è ciò che mi basta per vivere in modo più dignitoso. Invece, il metro di paragone non è se questo mi basta, ma il fatto che gli altri (magari i miei amici) guadagnano di più.

Parlavo con un ragazzo che è grande e attualmente non ha la ragazza e mi diceva: “oggi sto bene da solo, però forse quando tutti i miei amici saranno sposati e avranno dei figli… allora mi peserà”. Come dire: non è tanto se io sto davvero bene da solo oppure no, ma il confronto con le vite degli altri a determinarlo.
Oppure, guado la famiglia degli altri e vedo figli più bravi dei miei, guardo il marito degli altri e vedo coppie più felici… ecc. l’elenco potrebbe essere infinito.
La parabola di Gesù però ricorda che l’invidioso si lamenta, non tanto perché ha ricevuto poco, ma perché non sa guardare ciò che lui ha ricevuto.

Siamo portati a confonderle l’invidia con la giustizia. Diciamo infatti: “non è giusto!” Non è giusto che queste cose capitino proprio a me: che quella coppia abbia figli e io no, che quel ragazzo abbia trovato una ragazza e io no, che quella famiglia abbia quella casa così bella o quelle vacanze così belle e io no… così ciò che “è giusto”, non è giusto “in sé”, ma è la nostra invidia a dirci ciò che “non è giusto”.

Ci sono poi due strade che si aprono dentro di noi, quando il sentimento dell’invidia prende piete –e prende piede sempre, perché siamo animali sociali, ovvero persone che non possono fare a meno di un certo livello di confronto (non riusciamo insomma a non scrutare nella “busta paga” del nostro vicino).

Quando nasce la domanda: “perché lui sì e io no?” la risposta che ci diamo può avere due direzioni: una ci porta a colpevolizzarci o a un senso di inferiorità (tipo “sono io un fallito”). L’altra invece ci porta contro gli altri: “se non fosse per lui, io non mi sentirei così”. Se non fosse per il fatto che lui ha ricevuto un denaro, io non mi sentirei in disagio per aver ricevuto lo stesso al doppio della fatica. Sono i tanti casi dove l’invidia è alla base dei conflitti o delle litigate, dove l’invidia diventa aggressiva. In esse bisognerebbe semplicemente dire: è l’invidia “per quello che tu sei” e “io non sono” o “per quello che tu hai” e “io non ho” che mi porta a odiarti così… invece di nasconderla sotto qualche altra scusa.

Eppure, sempre, davanti al confronto invidioso, o me la prendo con me stesso, oppure me la prendo con l’altro, ma sempre a partire dall’idea di aver ricevuto un torto, spesso perché non vedo realizzato un mio profondo desiderio.

C’è soluzione a questo? Il Vangelo descrive questo dramma, questo odio molto attuale che riguarda sia l’invidioso che l’invidiato. Infatti, anche quest’ultimo non se la passa sempre bene. Immaginate come si sentirà guardato l’operaio dell’ultima ora che ha ricevuto un denaro? Immagino che gli altri sarebbero pronti a menarlo… come quando a scuola uno riceve una verifica con un voto più alto secondo i compagni e subito riceve insulti…

C’è soluzione? Credo che il Vangelo direbbe di sì, ovvero che l’uomo non è condannato a invidiare necessariamente e che molto dipende da quello che facciamo dopo aver intuito la nostra invidia. È infatti il Padrone della vigna a suggerire che il motivo dell’odio sia proprio l’invidia. Dunque, non serve nasconderla sotto altre forme. Non serve far finta di nulla e dire per esempio: “ma vah, non sono queste le cose che contano” oppure “ohh, chiunque ci potrebbe riuscire” oppure “tanto ogni medagli ha il suo rovescio”…  e poi invece dentro di noi coviamo l’odio o la depressione

Se uno è invidioso è meglio che dica: sono invidioso! È giusto che ciascuno sappia riconoscere l’invidia e chiamarla con il suo nome e dire a sé stesso: guarda ce l’ho con te in realtà soltanto perché ti invidio. È una mancanza di amore? Certamente è una mancanza di amore! ma a volte detta così (per quello che è) è anche più sopportabile a sé stessi e all’invidiato. Gioire per le fortune degli altri è un modo di voler bene. E chi scopre di essere invidiato potrebbe saper dire: “ti aiuto a gioire con me”, “ciò che ho io non è contro di te, ma qui anche per te”.

Ad esempio, se in un gruppo di pescatori polinesiani solo uno riesce a pescare qualcosa, quest’ultimo si affretta a condividere la sua pesca con tutti gli altri; ed è interessante notare che, a scanso di equivoci, i polinesiani chiamano questa ridistribuzione te pi o te kaimeo, che significa nella loro lingua proprio «arginamento dell’invidia». Forse noi non potremo farlo con le mogli e con i mariti (anche se spesso qualcuno vorrebbe), però potremmo farlo con molto altro che rende invidiosi.